sabato 20 luglio 2013

Potere al popolo (?)


M'è capitato, qualche mese fa, di avere una discussione su un tema tanto caro alle masse: la gestione della cosa pubblica in ogni suo aspetto.
In estrema sintesi, l'idea espressa dall'interlocutrice (e ripreso, in seguito, da altre persone di mia conoscenza) è che le cose andrebbero molto molto meglio se, anzichè giudici, politici e via amministrando le cose fossero gestite direttamente dal popolo.
Sarebbe tutto molto più semplice, democratico e giusto.
Mi sono permesso di obiettare tutto ciò, semmai, sarebbe più semplicistico, che la democrazia se esercitata con la pancia anzichè col cervello fa più danni di una dittatura, e che "giusto" è un termine del tutto privo di significato, essendo fin troppo soggettivo.
All'epoca citai alcuni esempi generali; oggi avrei sottomano qualcosa di più concreto. Il corriere riporta, infatti, l'ennesima notizia di violenza sulle donne. Dimostrando non solo la scarsità di altre notizia in generale, ma soprattutto come, una volta di più, i social network (dai quali Uzala ci scampi e liberi) si stiano dimostrando un'arma di distrazione di massa e di rincoglionimento generale assai più deleterea della tanto aborrita televisione.
Una volta si diceva: "se l'ha detto la TV" è vero. Oggi il mantra è "se l'ha detto Facebook è vero".
Se qualcuno osa ricordare, magari a mezza voce, che entrambi sono solo dei mezzi, e la veridicità di quanto riportano è direttamente proporzionale a chi quei mezzi li utilizza, si ottengono reazioni che vanno dalla condiscendenza borbottata all'isterismo. Specialmente nel caso di Facebook, vera latrina virtuale sui cui muri virtuali ognuno può fingere di avere una vita (che probabilmente, al di là dello schermo, non possiede) scrivendo a getto continuo gli affari propri per ricordare a tutti, ma soprattutto a se stesso, che esiste.
Perchè Facebook, esattamente come i cessi di cui è l'evoluzione, è bello, utile, divertente, ti mette in contatto con gente di cui non hai più notizie da tempo... ed è tanto comodo per suscitare reazioni di pancia, anzichè di cervello, le uniche che una nazione di ignoranti esperti in tutto può tollerare.
Leggendo, ammetto distrattamente, la notizia linkata più sopra, m'è tornata in mente quella discussione avuta sul potere gestito ed esercitato direttamente dal popolo.
Ho provato ad immaginare un processo a mezzo Facebook, con la furba* A.L.M. nella veste di vittima e Di Cataldo in quella di accusato.
L'esito sarebbe scontato: A. L. M., in quanto donna, avrebbe vinto su tutta la linea, ed avremmo visto Di Cataldo condannato a chissà quale pena. La giuria popolare di Forum, del resto, insegna.
Ora, non fraintendetemi: il problema della violenza sulle donne esiste, è serio e si è certamente amplificato in anni ed anni di imbarbarimento culturale, nei quali l'altra metà del cielo è stata declassata a mero oggetto, corpo senza anima, strumento col quale trastullarsi. Mi permetto però di pensare anche che quella del "femminicidio" sia un'emergenza creata a tavolino per tenere vivo l'interesse morboso dello spettatore e fargli provare quel tot di indignazione (finta) che fa tanto sentire bene ed attenti ai problemi sociali senza mai sfiorarli davvero. A meno che, ovviamente, non si sia un branco di invasati che si scatenano senza criterio contro il problema stesso, perchè "è giusto", finendo per ridurlo in burletta. Il che, ovviamente, giusto non è.
Ma, dopotutto, questo non è un grosso problema, in un paese di giustizieri allergici alla giustizia.
L'importante è che il popolo possa esprimersi.
A dire "non sapevo", sperando che il resto del mondo ci assolva a forza di cliccare sulle icone col pollice sollevato, si fa sempre in tempo.

*In reltà, tanto furba la signorin A.L.M. non è; poteva svegliarsi prima ed andare a fare la sua brava frignata dalla D'Urso (chè di fare come ogni comune mortale e sporgere opportuna denuncia alla polizia, pare, non se ne parla), anzichè affidarsi a Facebook. Ma non disperiamo, la stagione autunnale non è poi così lontana, e va pur riempita in qualche modo.



domenica 14 luglio 2013

Solo silenzio



Quando, in un momento di particolare oblio mentale, acconsentii a sprecare tre anni e passa della mia vita dedicandomi all'attività sindacale, il mio mentore mi diede un consiglio particolarmente ficcante nella sua semplicità: durante gli incontri con la controparte, bisognava prestare particolare attenzione non a ciò che veniva detto, ma a ciò che veniva taciuto.
Quasi sempre, nei silenzi e nelle omissioni, c'è più di quanto non dicano ore ed ore di chiacchiere.
Naturalmente, interpretai quel saggio consiglio (riprova che anche un orologio rotto, due volte al giorno, segna l'ora esatta, tranne Gasparri che è digitale) a modo mio, finendo per usarlo assai più spesso a danno del sindacato stesso, che quanto a silenzi e sbadataggini non ha nulla da insegnare ai padroni "cattivi".
A distanza di tempo, quel suggerimento mi torna utile ancora oggi per mettere in difficoltà i pappagalli che, incapaci di pensiero autonomo, starnazzano a memoria ciò che sentono qua e là, finendo col prendere sul serio individui e trasmissioni più attenti alla credibilità che alla verità.
Quando arriva qualcuno a strepitare sull'ultimo servizio de "Le Iene", dove è stato messo in risalto lo scandalo del momento, viene spontaneo chiedere perchè i furbetti emuli di Tarantino non si occupino mai degli scandali seri, soprattutto quelli che riguardano chi stacca loro gli assegni.
Quando arriva qualcuno a brontolare sull'ennesimo canile lager scoperto da "Striscia", viene naturale chiedere se i problemi che affliggono maggiormente il paese siano questi.
Quando l'indignato di turno perora la tirata contro la violenza sulle donne, imbeccato dalla terza notizia di "Studio Aperto" (le prime due, inevitabilmente, sono il meteo e Belen), non posso trattenermi dal ribattere se la mercificazione della donna, che è il cavallo di battaglia della cultura italiana da un ventennio a questa parte non, e di cui "Studio Aperto" è uno dei promotori indiscussi, non sia il vero problema.
Capiamoci: si tratta certamente di questioni che hanno la loro importanza, ma necessitano di una contestualizzazione seria e non solo di una generica invettiva, rivolta alla pancia anzichè al cervello di chi ascolta. Senza dimenticare il concetto di "priorità".
Manco a dirlo, questo concentrarsi sui silenzi senza osservarli a mia volta, anzi turbandoli con domande inopportune, mi ha attirato le ire di chi, troppo pigro per farlo, lascia che siano altri a ragionare per lui.
Fino a poco tempo fa, questi iracondi personaggi erano quasi tutti inquadrabili nell'alveo del berlusconismo; la loro replica alle mie obiezioni era invariabilmente un silenzio spaesato o un trito, furibondo insultare.
Oggi, direi quasi inevitabilmente, a raccogliere il testimone dei berlusconiani è, manco a dirlo, quella vasta platea che sostiene, consapevolmente o meno, Beppe Grillo.
Che in quanto a reticenze e silenzi non ha nulla da invidiare ai suoi epigoni televisivi.
Di solito si dice: Beppe si occupa di cose che la grande stampa politicizzata non affronta.
E per carità, su questo non ci sarebbe niente di male, se se ne occupasse con competenza e serietà, anzichè cercare il facile sensazionalismo per vellicare l'istinto frignone e rancoroso di chi lo segue; capisco che la "democrazia dal basso" necessita di continue stimolazioni, ma viene il sospetto che, a furia di insistere, si finisca davvero per diventare ciechi.
Capisco anche che ragionamenti troppo complessi ed articolati sono noiosi e poco attraenti per un popolino ignorante, sempliciotto e provinciale che avrebbe anche, oggettivamente, difficoltà a mandarli a memoria.
Quel che non capisco è come mai un tizio che sbraita un giorno sì e l'altro pure per mandare a casa politici ladri, arroganti e spreconi (e chiede addirittura udienza a Napolitano per velocizzare la cosa, udienza poi ritardata da improvvise ed improrogabili ferie in Costa Smeralda) non colga l'occasione per dire la sua, che so, su quel brutto pasticcio in salsa kazaka o sulle uscite, al solito infelici, di Calderoli.
Certo, ribadisco: ci sono altre questioni che magari sfuggono alla grande stampa di cui occuparsi.
Ma l'ennesima tirata contro la Germania  (perchè genuflettersi alla Merkel è male, a meno che prima non ci invada ), il solito psicodramma sull'ineleggibilità di Berlusconi e le altre varie amenità presenti sul blog di Grillo in questi giorni sembrano, nell'ipotesi migliore, la versione web delle repliche estive dei telefilm di successo, con l'aggravante che le repliche televisive spaziano per genere e target, quelle del non- leader hanno come unico ed ultimo scopo un ossessivo accanimento contro il PD.
Nell'ipotesi peggiore, sembra invece il solito, collaudato sistema per fingere di occuparsi di tutto senza, in realtà, preoccuparsi di nulla.
A pensar male si fa peccato, ma -come diceva qualcuno- raramente si sbaglia.
Sarebbe interessante se qualcuno provvedesse a spiegare il perchè di questi curiosi silenzi.
Non credo, però, che accadrà.
Il che, in effetti, spiega già tutto.

sabato 6 luglio 2013

Pensiero estemporaneo (scendendo il cane)



Laura Boldrini rifiuta l'invito di Marchionne a visitare uno stabilimento del gruppo Fiat in Val di Sangro.
Per "impegni istituzionali già in agenda".
Tradotto dal boldrinese, immagino che significhi più o meno "io sono di sinistra e con te non parlo perchè sei un Padrone".
A riconfermare tale ipotesi, l'incontro avuto in precedenza dalla Boldrini (che non è omonima, sempre della stessa persona si tratta) con Landini ed una rappresentanza di operai iscritti alla MaFiom, sindacato in crisi di identità e credibilità al punto di doversi accompagnare con chiunque pur di ricordare la propria esistenza.
Come se fosse possibile dimenticarsi questi rumorosi interpreti del fronte del "no" a prescindere, legati ad una concezione del mondo obsoleta per decreto storico, sempre pronti a starnazzare di diritti dei lavoratori  ma mai dei doveri conseguenti.
Naturalmente, l'atteggiamento della Boldrini è in linea col personaggio. Molto meno con la carica che rappresenta.
Non posso fare a meno di pensare cosa sarebbe successo se un Fini o uno Schifani si fosse rifiutato di incontrare Landini, accogliendo l'invito di un Marchionne.
Le cateratte dell'Unità, del Manifesto ed altri foglietti legati al vintage ideologico si sarebbero spalancate.
Con Landini a lagnarsi in controcanto, opportunamente alla testa di un corteo di sfaccendati.
Scrive peraltro Boldrini:

«Per ogni fabbrica che chiude e per ogni impresa che trasferisce la produzione all'estero, centinaia di famiglie precipitano nel disagio sociale e il nostro sistema economico diventa più povero e più debole nella competizione internazionale.  Le vecchie ricette hanno fallito e ne servono di nuove. Affinchè il nostro Paese possa tornare competitivo è necessario percorrere la via della ricerca, della cultura e dell'innovazione. Una via che non è in contraddizione con il dialogo sociale e con costruttive relazioni industriali».

Tutto vero e sacrosanto. Ma che la strada della ricerca, cultura e innovazione debba percorrerla il solo Marchionne, ne dubito.
Chissà, forse il Presidente della Camera (cui mi permetto di suggerire, tra un impegno istituzionale e l'altro, una googlata per scoprire l'esatta definizione di "super partes") ha provato a spiegarlo anche a Landini.
Ma non essendosi riversati per strada branchi di tesserati con bandiera rossa d'ordinanza e slogan ritriti sulle labbra, non credo ci abbia nemmeno provato.

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